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presa al volo / n°17

il-decollo

 

 

Ragazzi, non ho parole, oggi al nostro ritorno in serie A, abbiamo vinto, non importa molto il come, è importante esserci riusciti! E basta.
Pur lontano, oggi il mio pensiero è per la nostra squadra e per tutta la Tarvisium, per tutti gli allenatori e dirigenti che giorno dopo giorno, con pazienza e determinazione crescono i nostri ragazzi, questi ragazzi oggi hanno saputo rappresentare il giusto spirito di chi indossa la maglia rossa, umiltà e rugby!
Al debutto sarebbe stato molto facile darci degli alibi, la prima in serie A, la mancanza di molti giocatori che, particolarmente nella linea veloce sarebbe stata per molte altre squadre determinante ed invece, siamo riusciti comunque a giocare e soprattutto a vincere.
Eccetto qualche “vecchio Ruggers” oggi è stato un vero e proprio debutto, per molti ma soprattutto per quel manipolo di ragazzi che lo scorso anno erano nella formazione Juniores, anzi qualcuno di loro lo è ancora!
Sapete affrontare una partita di rugby ed oggi lo avete dimostrato.
E poi penso a quanti oggi non erano in campo, molti sono gli infortunati che presto spero recupereranno e altri mancavano per obbligo di scelta che ogni allenatore deve fare; è anche grazie a voi che arrivano questi risultati e ricordatevi che presto toccherà a voi, fatevi trovare pronti, la Tarvisium ha bisogno anche e soprattutto di voi.
Sicuramente non è stato facile vincere, gli avversari te lo ricordano sempre e pur dall’alto del nostro “RED BOEING” guardiamo sempre per terra,.
Con orgoglio oggi ringrazio Roberto e Walter, due nocchieri che insieme ai loro capi branco, possono portare dovunque ed a testa alta la Tarvisium!

Bravi tutti! E soprattutto … Grazie.
Un abbraccio a tutti i miei Ruggers!
Guido

 

presa al volo / n°16/2

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lo scudetto dell’‘84

seconda parte

testimonianze, 30 anni dopo, 
dal campo e da bordo campo

- Gibe -

 

orgoglio

Giusto un anno fa Natalino Cadamuro ricordava su queste pagine la vittoria, nel 1973, del nostro primo scudetto. Undici anni dopo la nostra giovanile lo riconquistava per la quinta volta.

A trent’anni di distanza è giusto ricordare quel successo e i fantastici ragazzi che lo colsero, (nella nostra club-house, insieme alle altre, c’è la foto di quella squadra e vi invito ad andarvi a riguardare le loro belle facce sorridenti).

Se, con le spalle al muro, mi trovassi costretto a scegliere uno solo tra i nostri “tricolori” – compreso quello che ho avuto la fortuna di vincere da giocatore – sarebbe quello che indicherei come il più amato, quello il cui ricordo (come educatore) più mi riempie di orgoglio e più mi commuove. Accadde qualcosa di molto particolare e di molto raro nell’incontro di finale giocato a Imola – avversario il Rovigo – il 13 maggio 1984; qualcosa che dimostrò a tutti, in maniera lampante, di quale straordinaria sostanza fosse impastato il pane del nostro rugby e come, nei momenti più drammatici, quella nucleare miscela di stima, fiducia, dedizione, e cristallino affetto per i propri compagni fosse in grado di nutrire lo spirito, compattare le forze e innervare di segrete energie i muscoli e le intenzioni delle nostre magliette rosse.

L’amicizia, autentica e profonda, incarnava il valore fondamentale della nostra concezione del gioco, l’impegno prioritario della nostra lezione, il più importante tra tutti i principi del rugby che volevamo esprimere. In quel pomeriggio romagnolo si evidenziò la più esaltante e inconfutabile prova che avevamo visto bene.
Durante la partita si verificò un episodio destinato a provocare una sorta di terremoto emotivo nei trenta giocatori in campo, che invertì di segno la dolorosa fatalità a cui sembravamo oramai non poter sfuggire e che, per questa ragione, rimane così profondamente inciso nella mia memoria.
Rovigo era – molto più di noi – forte, completo e fisicamente attrezzato (quasi giganteschi, al confronto) e inevitabilmente predestinato al trionfo. Come sempre però l’enorme, incessante e strenuo sacrificio dei nostri riuscì per un tempo infinito, placcando e rilanciando rapidi contrattacchi con i pochi palloni rubati, a frapporre un argine alla loro stra-potenza. Avevamo comunque la sensazione che presto, nelle traballanti mura del fortino, potessero aprirsi brecce definitive.
Nel secondo tempo però uno dei polesani (chissà se avrà mai compreso davvero quale reazione provocò la sua azione sconsiderata) alzò oltre il limite l’asticella dell’intimidazione, commettendo un fallo intollerabilmente cattivo su qualcuno che in quel momento non poteva difendersi.

Attraverso un invisibile filo quel gesto scaricò sulle magliette rosse una tremenda scossa elettrica. Simultaneamente tutte piombarono, in ogni punto del campo, sul proprio avversario diretto come se, a un segnale convenuto e noto a loro soltanto, ognuna, rispettando una ferrea consegna, si fosse sentita chiamata a difendere qualcosa di sacro.
Non fu vera rissa, non volarono colpi proibiti, fu solo come se un indice enorme si fosse improvvisamente levato davanti agli occhi dei rodigini per ammonirli su come nessuno dei nostri potesse essere toccato senza che tutti gli altri si sentissero ugualmente toccati. Mai, né prima né dopo di allora, nelle mille partite che i miei occhi hanno visto ho più assistito a una così fulminea, totale e composta – per quanto rabbiosa- reazione nè potuto apprezzare un così granitico senso di squadra, un così solido cemento amicale.
Non so davvero quanto quello stupefacente tsunami rosso che si riversò sui rossoblù possa aver determinato gli esiti di quell’incontro e di quello successivo, ma con Franco Medusa, con il quale ho condiviso il discreto angoletto dal quale abbiamo “spiato” la partita, ci siamo fatti convinti che qualcosa, di infinitesimale forse, ma egualmente determinante, si sia rotto in quel momento nella fiducia del Rovigo e qualche cosa di sottilmente prepotente abbia invece rigenerato la tempra dei nostri ragazzi che reagirono con furore alla meta subita a pochi minuti dalla fine, su un evidente e non sanzionato placcaggio anticipato sul nostro estremo, che stava raccogliendo al volo la palla.
Nella corsa rabbiosa con cui “Mega” riportò, inseguito dai compagni, il pallone a centrocampo,si esprimeva perfettamente tutta la forza mentale di una grande squadra. Sappiamo come andò a finire: lo scanchenico drop di Ivan che pareggia i conti di quel indimenticabile giornata e poi, quindici giorni dopo, a Padova, la meravigliosa prova di maturità e consapevolezza di un gruppo di ragazzi determinatissimi che ci riportò in paradiso.

Imola ha sempre significato moltissimo per noi, “piccoli maestri” (con infinito rispetto prendo a prestito il titolo del meraviglioso libro di Luigi Meneghello) di quei giovanotti quand’erano ancora ragazzini, ha dato un senso profondo alla nostra opera e resa appassionante la sfida di riuscire a mantenere inalterati nel tempo quei valori fondativi che costituiscono l’orgoglio della nostra appartenenza e la nostra cifra distintiva. Parecchi di loro, dopo aver costituito l’ossatura della squadra che ha prima raggiunto e poi giocato le esaltanti stagioni della serie A, sono diventati ottimi dirigenti, abili educatori, e competenti tecnici della Società e sono oggi impegnati a trasferire ai nuovi Ruggers quello stupendo spirito che li ha resi campioni. Io credo che questo rappresenti, se possibile, una vittoria ancora più importante e più durevole; lo scudetto che non si deve mai scucire!

 

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presa al volo / n°16

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lo scudetto dell’‘84

prima parte

testimonianze, 30 anni dopo, 
dal campo e da bordo campo

- Valentino Colantuono -

drop (da “la Finta di Ivan” di Elvis Lucchese)

“Quanto manca, Gibe?”
“È già finita. Quarantatrè. Persa, ormai”
“Peccà”
“Peccà si, però iori i gera più forti, i cei ga fato de tuto, ma iori i gera più forti”.
Gibe e il Barone avevano la mania di vedere le partite dietro la porta, scaramanzia forse, o anche il desiderio di isolarsi quando i tuoi ragazzi vanno in campo e la tensione sale alta. 18-15 per il Rovigo, tempo scaduto..... La Tarvisium insiste, è vicina ai venti metri avversari, ma non sfonda. Ivan recupera palla da un raggruppamento, è sotto pressione. Calcia. Un drop sporco, sbilenco, che fatica
ad alzarsi in aria. Gibe e il Barone fissano il pallone, tirano il fiato, strizzano gli occhi concentrati verso la porta, là davanti. Più o meno la direzione c’è, la forza no.
Va o non va? C’è o non c’è?. La palla passa sopra la traversa di una spanna.
C’è.
“No ghe credo, Gibe”.
Ivan alza in alto i pugni, e fa un gran sorriso..... Neanche il tempo di battere la rimessa e l’arbitro fischia la fine. La finale dello scudetto giovanile finisce dunque 18 pari.....
È il 13 maggio 1984 e si gioca sul campo neutro di Imola..... La finale si ripete a Padova sabato 26 maggio, allo stadio di via del Plebiscito.*

È un piccolo estratto di quanto riportato nel libro di Elvis Lucchese che molti appassionati avranno sicuramente letto. Sono passati 30 anni. Come può non essere vivo il ricordo e far parte di noi che quel giorno eravamo in campo?
Di certo quel giorno non avrei mai pensato che si sarebbe parlato di quel drop a distanza di 30 anni. Durante l’allenamento, nella settimana precedente,
Ivan non faceva altro che fare la telecronaca su se stesso: “tempo scaduto, Tarvisium in svantaggio di due punti, ma ecco Ivan Francescato che riceve palla..., drop..., centro!
La Tarvisium vince, è campione d’Italia”. Quel giorno ad Imola, prima della partita, mentre facevamo la ricognizione sul terreno prima di entrare negli spogliatoi per cambiarci, dentro l’area dei 22 dove avrebbe segnato, mimò per l’ennesima volta l’azione e rifece la telecronaca, molti di noi erano nervosi, ma Ivan aveva la forza di strappare un sorriso anche in quei momenti. Sbagliò il pronostico, pareggiammo, ma quel drop lo mise, di fronte all’incredulità di noi compagni che l’avevamo deriso fino a due ore prima.
Per quei pochi che non lo sanno vi dico come è andata, la finale del 26 maggio a Padova, in una straordinaria cornice di pubblico, l’abbiamo vinta noi. 10-9, dopo essere stati in svantaggio 9-0, con Rovigo che c’entra il palo quasi a tempo scaduto sul 10-9 per noi.
Ricordo il Plebiscito, in Italia allora un tempio del rugby. Gli spogliatoi enormi per me che ero così piccolo..., il tunnel che non finiva mai..., poi all’uscita l’urlo dalle tribune. Alzo la testa, vedo una marea di maglie rosse, ho i brividi, mi giro verso i miei avversari, li guardo, ma non capisco... ne fisso uno, lo conosco, è la quarta volta in un anno che lo incontro, è enorme, ha lo sguardo nel vuoto, il viso stravolto e grondante di sudore, è appoggiato alla rete di fianco all’ingresso del tunnel... Non so se fosse scritto da qualche parte che quello scudetto lo avremmo vinto noi. Dovevamo ancora entrare in campo, ma noi quel giorno, prima di giocare avevamo già vinto.

Sono passati 30 anni, e chi era in campo con me in quella doppia finale, avrà per sempre un posto speciale nei miei ricordi.

* (In realtà non fu col Barone ma con Franco Medusa – ricorda Gibe – che si svolse questo dialogo).

 

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presa al volo / n°15

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grazie a...

- Valentino Colantuono -

 

Si è vero, non è stata la miglior partita della stagione, ma c'erano da scacciare i fantasmi dell'Aquila e non era così semplice per i nostri ragazzi. Molti di loro erano in campo in quella maledetta domenica, ma da li si dissero che sarebbero ripartiti e così è stato.
Sono felice per due motivi, il primo è che ho smesso di giocare nell'anno della retrocessione dalla A, ricordo un ritorno molto triste da Viadana con la morte nel cuore e soprattutto con la consapevolezza che da li in avanti la mia vita sarebbe cambiata. Ricordo che io Pier e Lele (il Mega), fissammo una gran cena di pesce bagnata da grandi bolle, non tanto, ci dicemmo, per festeggiare degnamente la conclusione delle nostre carriere, ma soprattutto perché sostenendo una spesa importante, non avremmo poi cambiato idea! Pertanto questi ragazzi mi hanno tolto un peso durato 16 anni.
Il secondo riguarda un Grazie. Terminata la partita e iniziati i festeggiamenti, mi sono goduto da lontano, ma con orgoglio, i canti di giocatori e tifosi e la gioia che essi avevano nei loro occhi. Durante il rientro negli spogliatoi molti dei miei ex giocatori mi sono venuti incontro abbracciandomi, è stato molto bello. Uno di questi dopo l'abbraccio mi dice "grazie Vale", "grazie di cosa" chiedo io, "grazie e basta", mi risponde. Io so cosa voleva dirmi, lui sa che io lo so e non serviva aggiungere altro.
Il nostro stare in Tarvisium da allenatori, dirigenti o semplicemente dando una mano, ha l'obiettivo di trasmettere la passione, i valori, il senso di appartenenza, che abbiamo ereditato affinché diventino patrimonio di chi verrà dopo di noi, ricordandoci sempre che la maglia rossa, sia che siamo giocatori, dirigenti o altro, è comunque in prestito.
Il grazie è stata la prova che il lavoro fatto non solo sul giocatore, ma su un ragazzo che è diventato uomo, è stato un buon lavoro, mi ha ripagato e mi ha reso felice.
Grazie a te Marco, per tutto.

 

presa al volo / n°14

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...faccio "vivere" la palla

- Guido Feletti -            

 

Più che una presa al volo, ricevo un passaggio dai miei compagni e cerco di dare il mio miglior “sostegno” a Gibe e Valentino per proseguire nell’azione…
In Tarvisium avevo, ed ho oggi ancor di più, intenzione di approfondire questo argomento all’inizio della prossima stagione, è importante dare una continuità ai concetti educativi e formativi aperti in queste ultime settimane; l’educazione al gioco per i nostri giovanissimi ragazzi e dei loro genitori che con fiducia, spero, ci affidano i loro figli per insegnare a loro il rugby ed il suo “spirito”.
Questo è un argomento assolutamente importante e prioritario per tutta la Ruggers Tarvisium.

Quindi raccolgo il passaggio e voglio offrire a tutti voi l’occasione di vedere, di gustare, un servizio andato in onda la settimana successiva al trofeo Topolino; protagonista è una squadra di Under 8, soprattutto un genitore che poi è anche accompagnatore…
Non aggiungo altro, cliccate e guardate il filmato e credetemi, merita i 5 minuti necessari alla visione e, sono sicuro, vi può offrire anche alcune ore di riflessione…

Aggiungo che Angelo Macchiavello, affermato giornalista in Mediaset ed accompagnatore della squadra del figlio, protagonista suo malgrado, non ha mai giocato a rugby ma, in pochi minuti, ci insegna e ci offre un sacco di cose che ritenevamo, forse, di conoscere!
Bravissimo Angelo, spirito del rugby, oggi ho un amico in più e sono contento!

 

presa al volo / n°13

 

...a proposito della scuola Calcio Pol. Ponzano-Empoli

Valentino Colantuono

 

Chiamato in causa da Gibe, condividendo totalmente il suo pensiero riportato sulla precedente “presa al volo”, voglio portare sinteticamente il mio.
Casualmente nei giorni scorsi mi sono imbattuto, ammirato, in una foto assolutamente sorprendente. Ammirato e un pochino invidioso perché la foto riportava una frase che avrei voluto vedere appesa nella club house della mia società, sorprendente perché tale dichiarazione arriva da una società di calcio, disciplina che noi rugbisti, con la puzza sotto il naso, abbiamo sempre avuto la presunzione di giudicare come portatrice di valori inferiori a quelli del nostro sport. Ebbene, parafrasando un modo di dire della politica, possiamo dire di essere stati scavalcati a sinistra! In ogni caso, volevo fare i complimenti a questa società sportiva: in un mondo che sta mettendo molti dei sui valori in discussione c’è bisogno di esempi forti, che diano messaggi importanti. Il rischio che sta correndo il rugby, con l’avvento del miraggio del professionismo è quello di produrre falsi miti, che ubriacano genitori frustrati e ragazzi cresciuti con la cultura dell’alibi, per poi ritrovarci dei trentenni disadattati e impreparati ad affrontare la partita più difficile, quella della vita. Ciò che io e i miei compagni dopo anni di A1 e A2 (non c’era l’Eccellenza ne tantomeno la Celtic) vissuti studiando e lavorando, non abbiamo mai voluto diventare.
Pertanto, onore a voi, Scuola Calcio Pol. Ponzano-Empoli.