presa al volo / n°16
lo scudetto dell’‘84
prima parte
testimonianze, 30 anni dopo,
dal campo e da bordo campo
- Valentino Colantuono -
drop (da “la Finta di Ivan” di Elvis Lucchese)
“Quanto manca, Gibe?”
“È già finita. Quarantatrè. Persa, ormai”
“Peccà”
“Peccà si, però iori i gera più forti, i cei ga fato de tuto, ma iori i gera più forti”.
Gibe e il Barone avevano la mania di vedere le partite dietro la porta, scaramanzia forse, o anche il desiderio di isolarsi quando i tuoi ragazzi vanno in campo e la tensione sale alta. 18-15 per il Rovigo, tempo scaduto..... La Tarvisium insiste, è vicina ai venti metri avversari, ma non sfonda. Ivan recupera palla da un raggruppamento, è sotto pressione. Calcia. Un drop sporco, sbilenco, che fatica
ad alzarsi in aria. Gibe e il Barone fissano il pallone, tirano il fiato, strizzano gli occhi concentrati verso la porta, là davanti. Più o meno la direzione c’è, la forza no.
Va o non va? C’è o non c’è?. La palla passa sopra la traversa di una spanna.
C’è.
“No ghe credo, Gibe”.
Ivan alza in alto i pugni, e fa un gran sorriso..... Neanche il tempo di battere la rimessa e l’arbitro fischia la fine. La finale dello scudetto giovanile finisce dunque 18 pari.....
È il 13 maggio 1984 e si gioca sul campo neutro di Imola..... La finale si ripete a Padova sabato 26 maggio, allo stadio di via del Plebiscito.*
È un piccolo estratto di quanto riportato nel libro di Elvis Lucchese che molti appassionati avranno sicuramente letto. Sono passati 30 anni. Come può non essere vivo il ricordo e far parte di noi che quel giorno eravamo in campo?
Di certo quel giorno non avrei mai pensato che si sarebbe parlato di quel drop a distanza di 30 anni. Durante l’allenamento, nella settimana precedente,
Ivan non faceva altro che fare la telecronaca su se stesso: “tempo scaduto, Tarvisium in svantaggio di due punti, ma ecco Ivan Francescato che riceve palla..., drop..., centro!
La Tarvisium vince, è campione d’Italia”. Quel giorno ad Imola, prima della partita, mentre facevamo la ricognizione sul terreno prima di entrare negli spogliatoi per cambiarci, dentro l’area dei 22 dove avrebbe segnato, mimò per l’ennesima volta l’azione e rifece la telecronaca, molti di noi erano nervosi, ma Ivan aveva la forza di strappare un sorriso anche in quei momenti. Sbagliò il pronostico, pareggiammo, ma quel drop lo mise, di fronte all’incredulità di noi compagni che l’avevamo deriso fino a due ore prima.
Per quei pochi che non lo sanno vi dico come è andata, la finale del 26 maggio a Padova, in una straordinaria cornice di pubblico, l’abbiamo vinta noi. 10-9, dopo essere stati in svantaggio 9-0, con Rovigo che c’entra il palo quasi a tempo scaduto sul 10-9 per noi.
Ricordo il Plebiscito, in Italia allora un tempio del rugby. Gli spogliatoi enormi per me che ero così piccolo..., il tunnel che non finiva mai..., poi all’uscita l’urlo dalle tribune. Alzo la testa, vedo una marea di maglie rosse, ho i brividi, mi giro verso i miei avversari, li guardo, ma non capisco... ne fisso uno, lo conosco, è la quarta volta in un anno che lo incontro, è enorme, ha lo sguardo nel vuoto, il viso stravolto e grondante di sudore, è appoggiato alla rete di fianco all’ingresso del tunnel... Non so se fosse scritto da qualche parte che quello scudetto lo avremmo vinto noi. Dovevamo ancora entrare in campo, ma noi quel giorno, prima di giocare avevamo già vinto.
Sono passati 30 anni, e chi era in campo con me in quella doppia finale, avrà per sempre un posto speciale nei miei ricordi.
* (In realtà non fu col Barone ma con Franco Medusa – ricorda Gibe – che si svolse questo dialogo).