presa al volo / n°28
il punto di vista di Pierre Villepreux
Quando mi sono incontrato con Pierre Villepreux, in occasione di “Sport che effetto che fa!”, sapendo che sarebbe andato a seguire la Coppa del Mondo in Inghilterra gli chiesi di passarmi qualche articoli fra quelli che avrebbe scritto degli articoli per la stampa Francese.
Conoscendo la sua concezione di gioco e di squadra, non poteva mancare di commentare l'impresa del Giappone con il Sudafrica. Di questa partita si è detto e scritto molto, e sono passati già alcuni giorni, il Giappone ha poi perso con la Scozia, ma le sue riflessione restano attuali e sono una lezione indipendentemente dell'attualità.
Sergio Amaglio
l'exploit del Giappone
In questa cronaca avrei potuto esprimermi sulla Francia che inanella le vittorie senza però aver risolto i ricorrenti problemi del suo gioco, sull'Irlanda che rinverdisce, sull'Inghilterra che ha crudelmente mancato di serenità nella partita di apertura. Ma, come non scegliere di mettere in evidenza, in questa seconda giornata della Coppa del Mondo, la clamorosa vittoria del Giappone sui Sudafricani, tra i favoriti alla vittoria finale.
Clamoroso, non è un aggettivo troppo forte, poiché l'impresa non è stata da poco. A Priori questa doveva essere per gli Springboks una formalità. Non è stato altro che la trasformazione della qualificazione degli Springboks in un incubo.
Ho potuto vivere questo exploit in un pub vicino a Twickenham, prima di andare ad assistere a Francia - Italia. La prestazione Giapponese ha ricevuto la dovuta ovazione da tutte le nazionalità che vi erano mescolate. Che un piccolo riesca a far capitombolare uno grande e grosso coinvolge sempre, ma quando per di più ci mette della classe, allora, al fascino si aggiunge il rispetto.
Per realizzare qualcosa di impossibile bisogna soprattutto non sapere che è impossibile. Evidentemente il dubbio che avrebbe potuto creare una tale affermazione non si è mai insinuato, per tutta la durata della partita, nello spirito che albergava nel collettivo giapponese. Effettivamente ci volevano convinzione e audacia per osare lanciarsi in un gioco così ambizioso di fronte a una squadra riconosciuta superiore, rugbisticamente parlando.
Generalmente quando il rapporto di forza è obiettivamente sfavorevole ad una squadra, si rivela destabilizzante e troppo spesso induce ad accettare un gioco riduttivo e prudenziale. Senza invece essere dei Kamikaze, il collettivo nipponico ha deciso di accettare la sfida di impegnarsi nella messa in scena di un gioco totale. Un'opzione che richiede che ciascun giocatore in seno alla squadra accetti di sviluppare una rivoluzione mentale positiva per tutti gli 80 minuti. Ciò potrà per essere radicalmente operativo e trasformatore solo se ognuno è capace di resistere, senza ambiguità, al pessimismo che potrebbe generarsi dal dubbio di non esser all'altezza del gioco desiderato. Per uno staff la creazione di un simile stato d'animo non è affatto semplice, dato che si tratta allo stesso tempo di aderire alla fiducia in se stessi, nei compagni e nel gioco che si vuole realizzare. Questo era indispensabile per esser capaci di andare a sfidare i Boks e di “malmenarli” in domini come la mischia e i palloni portati, ed in partenza era tutt'altro che evidente.
Competere con i Sudafricani sarebbe già stato un successo. Bisognava effettivamente, contro un simile avversario, dare una bella prova di fede nella vittoria per scegliere di abbandonare proprio prima del fischio finale la possibilità di un pareggio offerta da due punizioni consecutive.
A proprio agio nella fase di conquista del pallone i giapponesi hanno dato una lezione di gioco ai propri avversari nelle situazioni di gioco, tanto nella correttezza delle decisioni che nella velocità di esecuzione richieste. La loro intraprendenza offensiva e la velocità di esecuzione hanno messo in crisi le certezze difensive degli avversari. Due mete al largo, un gioco che contrastava con quello dei sudafricani che si limitava nella maggior parte dei casi in sfide individuali, troppo spesso sterili, che sicuramente mostravano la loro potenza ma che mai hanno creato le necessarie incertezze nella difesa coraggiosa e solidale dei giapponesi.
Questa produzione entusiasta ed entusiasmante così ricca di freschezza dei giapponesi, la sua forma, ha mostrato al contempo i limiti di un gioco che tende, per dimostrassi performanti nel rugby attuale, a confidare alla potenza fisica delle virtù ineludibili. Al contrario, il dinamismo collettivo giapponese ha raggiunto a volte l'eccellenza in termini di varietà tattica e di esecuzione, quella di un gioco maturo che risponda anche alle esigenza di spettacolo che il rugby di oggi reclama e che dirigerà il rugby di domani. Questo dinamismo si consoliderà contro i futuri avversari? Si vedrà! Conoscendo la cultura dell'eccellenza dei nipponici, non ho dubbi che sapranno preservare questo spirito di gioco.
Intanto, questa performance è benefica per i giapponesi. Restano in corsa per una possibile qualificazione (Scozia e Samoa non sono inarrivabili.) (L'articolo è stato scritto prima del match con la scozia, ndt), rispondono anche agli obiettivi del IRB che spera di vedere finalmente qualche paese emergente competere con i migliori e entrare nella classifica dei Top 10; per finire questo successo creerà una favolosa infatuazione in Giappone e ne faciliterà la comunicazione e tutto quanto ne consegue per accogliere fra 4 anni la coppa del mondo.
Pierre Villepreux (Midi Olympique)
Libera traduzione di S.A.