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Jonah Lomu - qualche ricordo di un campionissimo e un saluto

lomu

 

Ai primi di giugno del 2011 Tiziano Casanova (uno dei responsabili della formazione di Unindustria) mi chiamò per chiedermi la disponibilità a condurre una giornata di formazione per i manager che aderivano alla sua associazione. L’iniziativa si sarebbe svolta in concomitanza con il campionato del mondo di rugby under 20 – che quell’anno si svolgeva in Veneto – e testimonial e protagonista dell'evento sarebbe stato l'ex All Black Jonah Lomu. Ovviamente aderii con entusiasmo all’offerta, ben sapendo che a essere formato sarei stato sicuramente io. A distanza di tempo conservo dell’incontro con quel campione immenso dei ricordi che riguardano, in realtà, soprattutto la sua caratura umana. Jonah si mostrò infatti una persona assolutamente trasparente e non ebbe alcuna remora a parlare apertamente dell’infanzia trascorsa in un quartiere degradato di Auckland, del rapporto molto difficile con il padre, autore di continue violenze nei confronti della madre e che dovette minacciare per farlo desistere, delle amicizie di strada: “Se non sono diventato un delinquente lo devo al rugby”, concluse con semplicità.
L’altro ricordo che ho di quella giornata è di Jonah che, dopo il buffet, si sdraia dietro una fila di sedie e schiaccia un pisolino. Al risveglio gli chiesi se usasse spesso dormire dopo pranzo e lui mi rispose che in realtà si trattava di una pratica di rilassamento. Da lì iniziammo a discutere anche di tecniche di visualizzazione ed ebbi la conferma che esse erano una sorta di “arma segreta” per molti campioni.
Ma la cosa che forse mi colpì maggiormente fu quando, alla fine della giornata, nel regalargli la mia vecchia maglietta rossa, gli raccontai velocemente la storia della Tarvisium, spiegandogli quale era la nostra mission – formare i ragazzi attraverso il gioco e i valori del rugby, magari salvandone qualcuno da percorsi di vita “pericolosi” – e mettendolo al corrente che da questa piccola realtà – la Tarvisium – erano nati tanti importanti giocatori, in particolare uno, Ivan Francescato, aveva giocato contro di lui anche se da qualche anno era diventato un "angelo"... Gli raccontai che nella nostra club house c'era la foto che celebrava il loro incontro e che noi la utilizzavamo per ricordare visivamente a tanti bimbi e ragazzi a quali livelli sarebbero potuti arrivare.
Jonah mi ascoltò attentamente e, quando ebbi finito, si levò la maglia e indossò quella rossa che gli avevo regalato. Poi, guardandomi, mi chiese se poteva venire alla Tarvisium a salutare i ragazzi e gli adulti che li seguivano e a lasciare un suo pensiero su quella foto. Chi ne avesse la curiosità può andare anche oggi a vedere il dono che Jonah ci lasciò quel giorno.

Max Ruggiero

 

Nella nostra Club House c'è una grande bellissima foto in bianco e nero dove un gigante dalla pelle scura solleva irriverentemente per il colletto, quasi come non avesse fisica consistenza, un ragazzo dai lunghi capelli, molto più piccolo di lui con la maglia della nazionale italiana.
Il meno alto di loro è stato in realtà (lo dico per chi – troppo giovane – non ha avuto l'impagabile fortuna di vederlo in azione) un atleta di straordinaria statura, uno dei più grandi rugbisti italiani di ogni tempo: il per sempre "nostro" Ivan Francescato. Una sorte malvagia ha squassato i nostri cuori quando il 19 gennaio di quasi diciasette anni fa ha rubato alla nostra meraviglia e al mondo la sua selvaggia dinamica grazia.
L'altro, lo smisurato all black, è l'immenso Jonah Lomu, uno dei più formidabili ruggers della storia del rugby. Nessun altro giocatore per quanto fisicamente imponente e veloce ha rappresentato come lui tanta perfetta, devastante e inarrestabile potenza fisica dentro un terreno di gioco.
La sua "esuberanza" sconvolse epocalmente il rugby internazionale degli anni 90, costringendo i tecnici di tutte le più importanti squadre del mondo a cercare nuove inedite soluzioni per provare ad arginare gli effetti dirompenti delle accelerazioni da centometrista dei suoi 119 kg di muscoli esplosivi. Pochi giorni fa, a soli 40 anni, anche lui è dovuto uscire dal campo.
I media di tutto il mondo ricordano in queste ore le sue imprese strabilianti e provocano la nostra commozione. Profonda e sincera. Abbiamo avuto il privilegio di conoscerlo, Jonah, quando qualche anno fa, di passaggio a Treviso, accettò di farci visita e di trascorrere un po' di tempo con noi. Firmò in quel pomeriggio la grande foto un sacco di autografi e ci stupì per la dolcezza, la gentilezza e per quella sua straordinaria modestia che lo rendono per sempre ai nostri occhi, se possibile, ancora più grande, ancora più colossale. Un campione!
Ci conforta pensare, nella tristezza del momento, come il suo più grande insuccesso sportivo rappresentò invece, paradossalmente, la più fondamentale vittoria storica per un altro immenso uomo dalla pelle scura. Il 24 giugno 1995 all'Ellis Park di Johannesburg gli Springboks riuscirono per un intero pomeriggio a disinnescare la minaccia di Jonah, unico terminale offensivo del gioco All Blacks nella partita di finale della coppa del mondo. Triplicarono su di lui la pressione difensiva, anticiparono le chiusure, inaridirono i suoi "rifornimenti”, lo costrinsero dentro corridoi di corsa inefficaci per impedirgli di segnare. Ci riuscirono. Conquistarono la Coppa del Mondo che tutti immaginavano dovesse finire alla bionica ala neozelandese e ai suoi compagni e la consegnarono nelle grandi mani di Nelson Mandela che la alzò al cielo insieme al sogno della fine dell’aparthaid e della pacificazione sociale del suo Paese arcobaleno.
Il grande presidente africano vinse quel giorno la sua partita più importante e più straordinaria: quella per cui aveva lottato, duramente, stoicamente, senza cedimenti per tutta la vita. Jonah, perdendola, senza saperlo la vinse insieme a lui.
Ora che Jonah Lomu ha fatto il suo ingresso nel grande campo celeste, ha ritrovato dietro i suoi cancelli lo sterminato sorriso di Madiba, e tra le sue mani la scintillante coppa che eternamente spetta solo agli esseri generosi, ai veri campionissimi.

Gibe